India 2023
Nel novembre del 2023, dal 4 al 19, un gruppo di cinque persone si è recato in India per visitare le missioni delle Canossiane in Andhra Pradesh, più alcune località in Orissa, subito al di là del confine.
La prima tappa del viaggio è stata in realtà Mumbai (nel Maharashtra), dove sono stati accolti sempre dalle Canossiane per riposarsi dal lungo viaggio aereo, prendere un primo contatto con un mondo completamente diverso e visitare una grande metropoli indiana con tutte le sue contraddizioni: ricchezza e povertà, attrazioni turistiche e baraccopoli. Un altro volo li ha poi condotti a Visakhapatnam e da lì è iniziata la visita di varie missioni: prima Gopalapuram e i villaggi tribali che la circondano, poi Veeraghattam, Bathily, lo “sconfinamento” in Orissa per visitare Jubo e altri villaggi, il rientro in Andhra per altre località, infine ancora Visakhapatnam e il rientro in Italia sempre via Mumbai. Tanti incontri, tante realtà diverse, tante emozioni…
Tra i partecipanti al viaggio c’era la dottoressa Luisa Marolla, pediatra in pensione, che ha scritto una breve relazione sulla sua esperienza che condividiamo con voi.
Ho conosciuto il Gruppo India 40 anni fa e da allora ho sostenuto con piccoli contributi annuali le loro attività ma sempre con il desiderio e la curiosità di vedere personalmente cosa realizzassero. Quest’anno finalmente si è offerta l’occasione di un viaggio in Andhra Pradesh e Orissa, dove operano le Canossiane, e l’ho colta al volo.
Ero preparata a vedere persone indigenti, villaggi poveri e sperduti perché ero stata in Etiopia in zone assolutamente difficili da raggiungere, dove non arriva nessuna ONG europea; ma a due cose non ero assolutamente preparata:
1) l’accoglienza calorosa, gioiosa e festosa, non solo da parte delle comunità canossiane visitate, ma anche da tutti i gruppi di persone incontrate, fossero anziani, adulti, bambini, donne sole, accoglienza ricca di rituali di benvenuto, canti, balli e di piccoli meravigliosi doni di carta
2) l’attività delle sisters canossiane. Sisters = vere sorelle di tutti quei bambini, di quelle donne sole, di quegli anziani, di quei malati “invisibili” agli altri e in certi casi addirittura “intoccabili”, da loro trattati come fratelli, sorelle, con cure affettuose, sempre sorridenti, entusiaste del loro durissimo lavoro.
Abbiamo conosciuto l’attività nei confronti di donne, per lo più vedove, anche giovani, che grazie a incontri organizzati con le suore hanno acquisito consapevolezza delle proprie capacità, hanno creato legami fra loro e con un piccolo contributo “microcredito” del Gruppo India hanno potuto iniziare delle attività remunerative migliorando la qualità della loro vita, quella della famiglia e in molti casi aiutando anche altre donne nella loro identica situazione. Ne abbiamo incontrate alcune… 50, 70 in rappresentanza di 500, 700!
Abbiamo visitato scuole dove centinaia di bambini in classi di 40-50 imparano a leggere e scrivere la lingua locale e imparano l’inglese per essere in grado, eventualmente, di frequentare gli studi secondari e perché no anche l’Università, che non potrebbero mai permettersi senza l’aiuto del Gruppo India. Negli incontri con i ragazzi più grandi li abbiamo spinti anche ad esprimere i loro sogni e molti hanno detto di voler continuare gli studi.
Nei villaggi tribali, e in altri villaggi molto piccoli, sono stati istituiti dei “doposcuola” in chiesette, in locali minimi messi a disposizione da famiglie con bambini o su terrazzini dove i bambini più svantaggiati (con genitori analfabeti o assenti) dopo la scuola vanno a studiare e imparare l’inglese, dal momento che la scuola pubblica di questi non si occupa.
Abbiamo visto ostelli che accolgono ragazze che hanno voglia di studiare ma abitano troppo lontano dalla scuola e senza l’ostello sarebbero costrette a rinunciare allo studio.
Abbiamo incontrato soggetti malati di AIDS, rifioriti con il supporto nutrizionale costante fornito dalle sisters, oltre ai farmaci naturalmente, che vengono forniti dallo Stato. Abbiamo ascoltato storie di persone “inseguite” dalle sisters quando rifiutavano di andare in ospedale e forzate a tornarvi quando scappavano in modo da permettere loro una cura adeguata e ne abbiamo anche incontrata qualcuna.
Le sisters lavorano senza fermarsi mai, girano per i villaggi, casa per casa, talvolta anche con una “clinica mobile”, per fornire un supporto medico immediato, incuranti del fatto che si tratti di cristiani, indù o mussulmani; scovano realtà nascoste come bambini malati chiusi in casa in attesa della morte, perché i genitori non vogliono o non possono portarli in ospedale, o anziani denutriti, malati, abbandonati dai figli.
In particolare abbiamo incontrato una ragazza che era ridotta pelle e ossa per una tbc non curata e che grazie all’intervento delle sisters che l’hanno trovata in casa e portata in ospedale, tra 3 mesi sospenderà le cure e vorrebbe iscriversi all’università.
In alcuni casi hanno anche un dispensario, sempre aperto per rispondere ad urgenze, anche la domenica. Ci sono poi malati cronici che vengono accuditi regolarmente a domicilio.
Insomma ho toccato con mano quelle persone le cui storie vengono riportate nel bollettino del Gruppo India, e mi sono resa conto che quello che viene raccontato non rende minimamente l’idea dell’impegno delle suore, dei disagi che affrontano percorrendo a piedi o al massimo in scooter chilometri e chilometri.
Infine mi sono sentita in imbarazzo davanti alle numerosissime manifestazioni di affetto e gratitudine nei confronti del Gruppo India di cui in realtà io sono solo una piccolissima benefattrice e del tutto impotente nei confronti di richieste le più varie, che abbiamo ricevuto; per esempio quella di un luogo coperto dove riunirsi per pregare, per far studiare i figli, da parte di una piccola comunità cui lo stato non da nulla e che per ora ha solo uno spazio coperto da un tetto di paglia; quella di quattro ragazzi che hanno completato con successo gli studi secondari e vorrebbero diventare chi medico, chi ingegnere, insegnante, infermiere, ma non possono farlo perché non possono pagarsi l’ostello; la richiesta di un pozzo da parte di un villaggio di “intoccabili”; la richiesta di un gruppo di donne che, terminato il corso di sartoria, vorrebbe iniziare a lavorare e guadagnare col proprio lavoro ma non può farlo perché non possiede una macchina da cucire…
E più che mai mi sono sentita in difficoltà pensando che con quello che si spende per una cena al ristorante si può garantire un mese di alloggio ad un ragazzo nell’ostello o mezza macchina da cucire!
Mi sento sicura di affermare che nulla di ciò che il Gruppo India raccoglie viene sprecato; né a Roma dove la maggior parte dei collaboratori è fatta di volontari, né dalle sisters che vivono in maniera semplicissima, si muovono per lo più a piedi o in scooter per raggiungere i villaggi più lontani e in un caso vivono in una baracca con il tetto di lamiera pieno di buchi da cui entra la pioggia ma anche i serpenti.
Sono tante le richieste di sostegno che riceviamo da parte di associazioni no profit e certamente molte di esse sono serie ed affidabili; per quel che riguarda il Gruppo India, alla luce dell’esperienza vissuta recentemente, posso testimoniare la realizzazione di tanti progetti, fatta con parsimonia e grandissimo impegno personale delle sisters.