Marzo 2020 da Rajaf (Sud Sudan)
Cari membri del Gruppo India,
la nostra missione a Rajaf si sta ampliando sempre di più. La conoscenza dei dintorni di questa regione alle porte della capitale Juba rivela la situazione precaria di una popolazione composta principalmente da famiglie di sfollati o rifugiati. Fuggendo dalle zone di conflitto, senza un lavoro e senza entrate, hanno trovato a Rajaf, nei terreni della chiesa o altrove, uno spazio per costruire le loro capanne. Il nostro aiuto è stato destinato ad alcune famiglie di sfollati per consentire loro di procurarsi i mattoni e la paglia necessari per la costruzione della loro casa. È stato destinato anche a malati, anziani e persone sole, famiglie numerose con bambini, neonati e bambini in età scolare…
Con il vostro sostegno e assistenza finanziaria, cari benefattori del Gruppo India, abbiamo riacceso la speranza di questo popolo martoriato da anni di guerra. A nome di tutte queste persone che vivono a Rajaf o rifugiati, vi dico un grande grazie. Vorrei farvi conoscere le nostre attività…
Scuola parrocchiale “Tutti i Santi”: l’ufficio scolastico dell’Arcivescovado di Juba ci affida l’amministrazione della scuola di Rajaf. Le sfide sono immense, sia a livello finanziario che in termini di formazione degli insegnanti, per non parlare della manutenzione degli edifici e dei tavoli. Gli uccelli hanno fatto i loro nidi sul tetto e le classi odorano di pollaio. Non esistono cattedre con un cassetto per gli insegnanti. I libri ammucchiati nell’ufficio del direttore sono stati rosicchiati dai topi. C’è così tanto da fare, organizzare, formare, motivare e stimolare… l’avventura dell’educazione è bella nonostante tutti i rischi. Due delle nostre suore si impegnano con grande coraggio, contando sul vostro sostegno.
La vostra generosità, cari membri del Gruppo India, non ci delude. Sì, collaboreremo insieme per incarnare la carità fraterna in questa terra. Non si tratta di rifiutare un bambino che non può pagare la sua iscrizione, al contrario, lavoreremo per motivarli a venire a scuola e sottrarli ai rischi della strada.
C’è poi “Our home”, un centro di accoglienza per ragazze orfane. Dal 2017 il centro ha accolto bambine e ragazze tra i 4 e i 15 anni, rimaste orfane del padre o della madre e spesso di entrambi. Il numero sta crescendo: quest’anno , arriviamo a trenta. Sono ospitate, nutrite, ripulite, curate, iscritte alla scuola parrocchiale…
Per i più piccoli nel 2014, è stata aperta una classe di scuola materna che raccoglieva i bambini che vagabondano davanti alla chiesa, con naso che cola e piedi nudi. E da allora, una classe e poi una terza sono state costruite in risposta alla richiesta dei genitori che hanno percepito l’evoluzione dei loro piccoli. Nel 2020, le nostre lezioni accolgono più di 120 bambini, dai 4 ai 6 anni. Ogni mattina arrivano con le loro uniformi, calzati e ben pettinati. Sono orgogliosi di imparare a cantare, scrivere e contare in inglese. La musica li accoglie al mattino e all’ombra degli alberi continuano a giocare nella sabbia.
E ora vi racconto una delle visite che facciamo nel quartiere…
Sono le cinque del pomeriggio. Dopo un improvviso temporale, il sole appare di nuovo più caldo del solito. Ci muoviamo nel quartiere. La demolizione di alcune capanne ci sorprende. Scopriamo che i residenti sono stati costretti a lasciare il posto che occupavano senza permesso. Sfortunatamente, notiamo nuove famiglie che arrivano dal nulla.
Isabella cucina all’aperto, ma cosa farà durante la stagione delle piogge?
Francesca è un’anziana sola, chi l’aiuterà ad avere un tetto sopra la testa?
Incontriamo Esther, una ragazza di circa 12 anni, con gli occhi tristi. Alla nostra domanda: “Sei andata a iscriverti a scuola?” Lei risponde, abbassando la testa, “No perché non abbiamo soldi”. Ci accompagna a casa, un tugurio appena fatto con mattoni crudi. Prende due sedie dai vicini per invitarci a sedere. I fasci di erba secca sono ammucchiati in attesa di completare il tetto. La madre è vedova e deve nutrire una famiglia di cinque ragazze e un ragazzo. Com’è difficile incrociare lo sguardo fugace della giovane Esther che non osa chiedere a sua madre i soldi che non ha. Ma Esther andrà a scuola grazie alla generosità solidale di coloro che sostengono la missione delle Suore della Carità a Rajaf.
Sulla nostra strada, una truppa di bambini ci segue. Le loro piccole voci ci incantano. Abiti sporchi e piedi nudi, ci ripetono: sorelle, sorelle… ritroveremo la maggior parte di loro all’asilo.
Ci inchiniamo per entrare in una capanna. È buio. Un vecchio è disteso su un letto dov’è costretto dalla malattia. Sembra che ci dica questo proverbio africano nel suo dialetto: “È difficile essere poveri, è ancora più difficile essere soli”.
Il bagno di Rajaf è all’aperto, sotto il sole cocente. Con un po’ d’acqua in un secchio, una madre lava il suo bambino di tre anni. La nostra visita sorprende questo momento di intimità.
Un’altra signora ci saluta da lontano. Ci avviciniamo, è emiplegica. Voleva così tanto andare alla messa, ma la sedia a rotelle è rotta. Impossibile muoversi. Nei suoi occhi, penso di percepire questo proverbio africano: “La vita è disseminata di difficoltà che tutti devono imparare a superare”.
È vero che nel Sud Sudan la pace rimane un sogno… non mancano i litigi, le lotte tribali sono quotidiane, le riforme vengono sempre respinte. Ma incontrando i poveri, chiedendo loro della loro vita quotidiana, della loro salute, ci rispondono spontaneamente: “La mia battaglia non va male”. Perché, come dice un altro proverbio africano, “Nella foresta, quando i rami litigano, le radici si abbracciano”.
Suor Jackline
(suore Carità S. Antida)